06 dicembre, 2012

ASSANGE: "WIKILEAKS ANDRA' AVANTI"





Nello scintillante quartiere di Knightsbridge, nel cuore di Londra, a dieci passi dai celebri magazzini Harrods, c'è un palazzo in mattoncini rossi presidiato giorno e notte dagli agenti di Scotland Yard e da uno o due grandi furgoni dotati di antenne che montano occhiute telecamere.
E' l'ambasciata dell'Ecuador, in cui si è rifugiato l'uomo che ha fatto tremare la Casa Bianca e le diplomazie di tutto il mondo, rivelando crimini di guerra e trattative segrete: Julian Assange.

Ed è qui che "l'Espresso" è riuscito a entrare per incontrare il fondatore di WikiLeaks, che è rintanato nella sede diplomatica dal 19 giugno scorso dopo aver passato diciotto mesi agli arresti domiciliari con un braccialetto elettronico che ne controllava ogni movimento. Di fatto, da due anni Assange vive da recluso. E nonostante l'Ecuador gli abbia concesso l'asilo, nessuno sa se riuscirà mai a mettere i piedi fuori dall'ambasciata da uomo libero e come si concluderà questa incredibile avventura che ha portato un uomo di 41 anni abituato a viaggiare per i continenti, senza radici e libero come l'aria, a finire sepolto in una stanza di circa 20 metri quadri, sorvegliato a vista.

Assange ci accoglie alle sette di sera nella stanza dell'ambasciata in cui vive e lavora. Pallido più del solito, avrà perso una decina di chili dall'ultima volta che l'abbiamo visto, a febbraio. Fatica a controllare una tosse stizzosa, sintomo di qualcosa che non va nei suoi polmoni. Quando parla, però, viene fuori la verve di sempre. Forte, concentrato sul suo lavoro. Provato fisicamente, sì. Ma non spezzato nella volontà.

La sede diplomatica è un piccolo appartamento senza giardino, non c'è nemmeno un cortile interno in cui uscire a prendere una boccata di aria fresca. Una cucina rossa lillipuziana: un metro e mezzo per un metro e mezzo. Un piccolo bagno, uno più grande, gli uffici diplomatici e poi, in fondo, la stanza di circa venti metri quadri di Julian Assange. Un'unica ampia finestra all'inglese, in un cui il grigio del cielo di Londra è bloccato da tende spesse che non lasciano scrutare all'interno.

La stanza è divisa in due da una grande libreria, in cui lui ha concentrato di tutto: libri, faldoni, piccole valigette. Dietro gli scaffali c'è giusto lo spazio per un letto. L'accesso a questa cameretta improvvisata è quasi completamente bloccato da un tapis roulant messo alla fine della libreria: è l'unico sistema che gli permette di fare un minimo di esercizio fisico. Nell'area antistante gli scaffali, invece, c'è la porzione di stanza illuminata solo da luce artificiale in cui Julian Assange mangia e lavora: un tavolo rotondo con piccole poltroncine di similpelle nera, una parete zeppa di post it che abbozzano la strategia di WikiLeaks nei prossimi mesi, un caminetto sovrastato da una grande tv. L'impressione è di assedio, con un forte senso di claustrofobia. La mancanza di luce naturale e di aria fresca colpisce subito. Come colpisce la sollecitudine con cui all'ambasciata dell'Ecuador cercano di fare di tutto per rendergli la vita più sopportabile: mentre parliamo, veniamo interrotti da un'addetta che bussa alla porta della stanza e consegna la lista del frigo, domandandogli cosa vuole. Basilico e mozzarella cheese sono due delle richieste.

Ma per quanto Assange potrà continuare a vivere così? Per terra, appoggiata a uno scaffale della libreria c'è una lavagnetta lucida in cui è abbozzato con un pennarello il protocollo medico. A cena osserva una dieta sana a base di pesce e verdure fresche, sorseggia con piacere un vino argentino. Si dice convinto che il procedimento svedese contro di lui per violenza sessuale crollerà e racconta con un filo di amarezza del film che la DreamWorks di Steven Spielberg sta mettendo in cantiere. «Il copione è blindato», spiega con un sorriso. Ma il progetto rischia di essere una nuova campagna contro di lui e contro WikiLeaks, che verrebbe rappresentata come una sorta di setta oscura da cui l'ex portavoce, Daniel Domscheit Berg, si è salvato grazie all'intervento della moglie.









Fonte: L'espresso

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